e vissero tutti felici e contenti

L’affido nasce come aiuto temporaneo a un bambino e alla sua famiglia che attraversano un momento di difficoltà. Per cui la sua naturale conclusione sarebbe, a emergenza finita, il rientro in famiglia.

Ma questo non sempre avviene, per motivi su cui la famiglia affidataria non ha alcun controllo, nessuna voce in capitolo e, spesso, nemmeno conosce.

All’inizio della mia esperienza come mamma affidataria pensavo che l’adozione fosse, quasi sempre, la soluzione auspicabile.

Perché è più facile immaginare un futuro roseo in una famiglia tutta nuova che ha fortemente scelto di avere un figlio e che arriva all’adozione piena di speranza, amore ed entusiasmo, piuttosto che in una famiglia che ha avuto problemi e difficoltà.

Le famiglie adottive mi sembravano essere in grado di colmare ogni vuoto e di sanare ogni dolore di questi bambini. In realtà, inconsciamente, cercavo una soluzione che potesse tranquillizzare me e minimizzare le mie preoccupazioni.

Anche i genitori adottivi hanno le loro difficoltà. Crescere un figlio non proprio, che ha già un passato denso e ferite per cui ci si sente impotenti, non è affatto facile. Ora lo so.

Nelle nostre esperienze abbiamo avuto un po’ di tutto: rientri con le mamme, adozioni, rientri con i nonni e, spesso, le cose hanno preso pieghe inaspettate rispetto a quanto ci saremmo immaginati e a quello per cui ci eravamo emotivamente preparati.

Con la prima famiglia adottiva che ha incrociato le nostre vite, le cose non sono andate come tutte le premesse facevano presupporre. Dopo un inserimento della bimba pieno di buone intenzioni sul mantenere i rapporti con tutte le figure per lei significative, i nuovi genitori hanno preferito che non ci incontrassimo più, a loro dire, per non turbare troppo i nuovi equilibri.

Hanno scelto così e questo, all’inizio, mi ha causato un grande dolore e, diciamolo pure, una grande delusione.

Il dolore che ho provato e che ancora oggi a volte provo, è per il fatto che questa bambina, pur essendo amata moltissimo e avendo mille opportunità per il suo quotidiano e il suo futuro, non ha potuto tenere tutta la sua storia all’interno della nuova famiglia.

E allora ho rivalutato i ritorni a casa. Anche problematici e anche se destano in me grandi preoccupazioni per il futuro.  Per i bimbi le difficoltà ci saranno comunque, ma non ci saranno pezzi del loro passato da tagliare o reprimere. Le loro domande avranno delle risposte e piano piano arriverà anche il tempo per ricucire.

Come nella coperta che mi fece mia nonna, dove tanti quadrati di materiali e colori diversi, affiancati tra loro, disegnano un motivo unico e irripetibile.

ci vuole tempo

E’ tanto che non scrivo. Ci ho pensato. Ho pensato a scrivere ma poi mi sono accorta che non avevo le idee sufficientemente chiare. E’ dovuto passare del tempo, un bel viaggio fatto in famiglia. Ci sono state cene e pranzi con gli amici, annaffiare l’orto, pulire il terrazzo, trapiantare fiori…

Come in una di quelle sfere di vetro che se giri viene giù la neve. Serve tempo perché tutti quei pezzettini bianchi si ridepositino sul fondo e sembrino scomparsi.

Ho rivisto Paco. Credo che sia stato uno dei momenti più emozionanti della mia vita. E’ un bel bimbo, sempre biondissimo, sempre simpaticissimo. L’ultima volta che lo avevamo incontrato parlava appena e non mi dava il permesso di stargli troppo vicino pur chiamandomi ancora mamma. Per lui era troppo. Troppo stretto il mio abbraccio, troppo caldi i miei baci. Era stato un incontro intenso ma a distanza. Voleva che mi fosse chiaro che per lui non era facile. Che non potevamo far finta di niente.

Questa volta, dopo due anni dall’ultimo incontro, era emozionatissimo nel vederci e si è lasciato baciare. Gli ho chiesto il permesso e lui, abbassando gli occhi in un momento di timida emozione, ha detto subito di sì.

E poi abbiamo giocato. Tanto. Abbiamo dato le noci agli scoiattoli, il riso alle anatre e poi giocato ancora assecondando la sua fervida immaginazione e la sua fantasia.

Ha evitato accuratamente di chiamarci. Non per caso. E’ tutto ancora lì, non si è perso nulla di quello che c’è stato ma non siamo più mamma e papà. Diventeremo qualcosa di diverso che ancora, per lui, non ha un nome.

La neve però, anche per Paco, si sta lentamente depositando sul fondo della sfera e il paesaggio sta tornando ad essere nitido. Ci vuole tempo.

Spero tanto di piangere

Non ho ancora avuto la soddisfazione di piangere. Che detto così, magari, mi fa pure sembrare quantomeno strana. Di solito il pianto, quello vero con i singhiozzi, si impossessa di me nel momento in cui smonto il lettino. Il lettino mi ha sempre fatto questo effetto. Non il seggiolone, la vasca da bagno, il passeggino, i giochi… no, solo il lettino. Quello è il punto di non ritorno.

Stavolta niente. Sono un po’ preoccupata.

E’ che la Puccia mi manca un sacco e mi commuovo a riguardare le foto, ma non vorrei riaverla qui. Faccio fatica pure io a capirla ‘sta cosa. Mi dico che è perché so bene dove sta e con chi sta, e il mio cuore mi dice che è proprio dove doveva tornare. Un po’ come quando liberi in mare una tartaruga (ebbene sì, l’ho fatto) che hai raccolto debole e ferita e l’hai accudita aspettando solo il momento di poterla rimettere in mare e vederla andare via. Ma non credo di essere diventata così saggia e matura. Oppure sto semplicemente diventando arida e insensibile, ma questa opzione non la voglio neppure considerare. Fatto sta che non ho ancora pianto.

Domenica andremo a trovarla per la prima volta e non vedo l’ora. Che invece di solito non ne ho mai voglia. Il primo incontro dopo il saluto è sempre un po’ come aprire il vaso di Pandora: il vortice di emozioni ti risucchia e non sai mai come ne esci. Sono curiosa di vedere cosa proverò a vederla lì, nella sua vita, e come starò dopo.

Spero tanto di piangere.

tutto andrà inevitabilmente bene

Io sono qui, seduta alla mia scrivania, in questo ufficio che ho cercato, nel tempo, di rendere accogliente. Sorseggio una tisana più per il piacere di tenere una tazza calda tra le mani che per il reale desiderio di berla.

Tu sei chissà dove, in uno spazio di cui ignoro le dimensioni, i colori e gli odori. Sei là con persone che non conosco in una dimensione tutta tua, in una parte della tua vita che ti appartiene in esclusiva.

Ti penso, senza particolare preoccupazione. Posso quasi vederti: dapprima seria, poi curiosa. E spero che ti apra in un sorriso. Uno dei tuoi sorrisi meravigliosamente contagiosi.

Perché quando tu sorridi, so che tutto andrà inevitabilmente bene.