dall’alba all’alba

Le mie giornate iniziano sempre presto e sono fitte fitte di impegni. Invidio tantissimo le persone che riescono ad eliminare il superfluo, tutte le azioni che non sono indispensabili. Quello che io mi concedo, e solo ogni tanto, è rifiutare qualche telefonata. Perché ci sono momenti in cui non ho davvero voglia di parlare con nessuno. Magari perché mi sono appena seduta sul divano, magari perché tra 10 minuti esatti devo uscire per recuperare la Puccia e voglio solo silenzio fino a quel momento. Per il resto, se non ho impegni sono bravissima a crearmeli dal nulla, salvo poi arrivare stremata a sera. Re di Triglie dice che non mi preservo abbastanza, che sono sempre un filo oltre le mie possibilità. Ma sono cresciuta con una mamma che mi ha insegnato che si può sempre andare avanti anche se si è stanchi, che si può comunque fare qualcosa in più (ah le mamme lombarde!)  e ci si riposerà domani. Re di Triglie all’opposto è cresciuto in una famiglia dove ci si prende il proprio spazio e il proprio tempo e infatti, durante gli affidi, soffre più di me della mancanza di più tempo per se stesso. Questo affido sembra volgere al termine, dopo un anno di convivenza e di disponibilità dall’alba all’alba, la Puccia andrà per la sua strada e mi ritroverò con uno spazio immenso e un tempo dilatato da riempire. Ma prima di riempire, sarà importante prendere coscienza di questo vuoto, prendere di nuovo le misure e lasciare che da 4  le persone della mia famiglia tornino armoniosamente a 3.

Parleremo tanto, la casa sarà di nuovo grande, le stanze silenziose.

Per ora ho comprato un libro. Un romanzo di mare. Probabilmente rifiuterò un po’ di telefonate, lasciando disattese le domande sul come mi sento e cosa provo. Per un po’ ce lo terremo per noi quello che proviamo.

E io leggerò il mio libro. Prima che tutto ricominci.

ma ora che mi ci fai pensare…

La prima volta che mi hanno detto che la bimba che avevo a casa sarebbe entrata in comunità con la mamma naturale, mi è venuto un colpo. La mia mente si è immediatamente riempita di dubbi e preoccupazioni per il suo futuro, e mi è mancato letteralmente il respiro.

Ero molto titubante su come comunicare a Donzella, che a quei tempi era solo una bambina, questa notizia che mi metteva così in ansia. Per farle accettare la cosa di buon grado avrei dovuto cercare di restare per lo meno neutra e, se possibile, sembrare anche un filino entusiasta della scelta fatta dal giudice.

Ma non sempre ciò che mette in difficoltà noi adulti ha lo stesso effetto sui bambini, che hanno dalla loro una visione del mondo di una semplicità disarmante.

Così, quando il Re di Triglie ed io le abbiamo dato la notizia, Donzella ha spalancato i suoi occhioni blu come il mare e ha detto: “Come sono felice! Torna dalla sua mamma! A voi non sembra una notizia meravigliosa?”.

Eccome no? Diciamo che fino ad un minuto fa, a me, proprio no. Ma ora che mi ci fai pensare…

tutto andrà inevitabilmente bene

Io sono qui, seduta alla mia scrivania, in questo ufficio che ho cercato, nel tempo, di rendere accogliente. Sorseggio una tisana più per il piacere di tenere una tazza calda tra le mani che per il reale desiderio di berla.

Tu sei chissà dove, in uno spazio di cui ignoro le dimensioni, i colori e gli odori. Sei là con persone che non conosco in una dimensione tutta tua, in una parte della tua vita che ti appartiene in esclusiva.

Ti penso, senza particolare preoccupazione. Posso quasi vederti: dapprima seria, poi curiosa. E spero che ti apra in un sorriso. Uno dei tuoi sorrisi meravigliosamente contagiosi.

Perché quando tu sorridi, so che tutto andrà inevitabilmente bene.

venite a pranzo da noi?

Ieri mi sono sentita immensamente grata. Non uso spesso questo aggettivo perché la gratitudine non rientra abitualmente, mea culpa, nella mia frenetica quotidianità.

Ma ieri l’ho proprio sentita bene questa gratitudine.

Siamo stati invitati a pranzo da amici, colleghi di affido. Uno di quegli inviti che non giungono per caso. Sapevano del nostro momento di fatica sia fisica che emotiva e ci hanno regalato qualche ora di leggerezza.

Perché il pranzo è ovviamente solo un pretesto per passare del tempo insieme, parlare, distrarsi, ridere delle occhiaie, delle rughe nuove e per fare progetti per il dopo. Non sappiamo ancora quando inizierà il dopo ma è lì, lo si può iniziare ad annusare.

E quelle ore seduta, in cui altri hanno rincorso e accudito Puccia al posto mio, hanno avuto l’effetto di un giorno in beauty farm.

E mi sono sentita amata. Mi sono sentita capita. E profondamente grata.

di parenti, di virus e di altre sciocchezze

Le vacanze di Natale sono finite: finalmente. E’ ufficiale: sono rimasta indietro su tutto quello che mi ero ripromessa di fare, però sono sopravvissuta. E non è poco.

Aspettavo questa pausa invernale con molto entusiasmo e altrettanto timore perché, dopo circa 12 anni, questo era il primo Natale che passavamo a casa.

Vigilia da amici, pranzo e Santo Stefano dai suoceri, capodanno a casa io, Re di Triglie, Puccia e Nonna ospite, e in fine Befana… col virus.

Certo, per chiudere in bellezza Puccia ha pensato bene, dopo solo 2 giorni di nido (DUESOLIGIORNI) di portare a casa questo gradito ospite che ha reso, prima lei, poi la Nonna ospite, poi Donzella e poi di nuovo lei, vomitosi come la bimba dell’esorcista. Evviva.

Era andato tutto bene, oltre ogni aspettativa. Nonostante che Puccia abbia aspettato le vacanze per mettere ben 3 canini e le notti siano state ancora peggio del solito, era andato tutto bene.

Gli amici erano venuti e poi andati, la permanenza della Nonna ospite era stata pacifica, sorella cognato e nipoti molto felici dopo 8 anni di assenza dalla nostra città.

Il virus ha quindi deciso che fosse arrivato il suo turno. E si trova talmente bene a casa nostra che stenta ad andarsene. Gli ospiti sono tutti partiti, ognuno è tornato alla sua vita ma lui, tenace, resiste. Forse siamo una famiglia un po’ troppo accogliente.

E io, ho di nuovo bisogno di ferie.