che domenica!

Domenica è stata una giornata strana. Sabato sera, dopo una rigenerante serata con amici carissimi, sono andata a dormire con il solo obiettivo di inventarmi qualcosa per far passare l’ennesima domenica piovosa e arrivare alle 18 per andare al cinema.

Invece una telefonata ha cambiato tutto e ho trascorso il pomeriggio con la Puccia.

Non posso descrivere la sua espressione di gioia quando sono entrata a casa sua. Non posso descrivere cosa ho provato a tenerla in braccio e coccolarla senza fretta.

Ci siamo prese il nostro tempo e ci siamo nutrite, tenendoci strette.

Ne avevamo bisogno. E’ stato un regalo prezioso e inaspettato. Forse avevamo la necessità di salutarci di nuovo, di vedere quanto rimane dopo essersi lasciati alle spalle la quotidianità del vivere insieme.

Siamo ancora famiglia. Siamo ancora dentro a un legame che non si spezza. Io e lei.

E’ anche per questo che faccio affido. Per creare legami che resistono nel tempo anche quando la distanza sembra separarci.

normalità apparente

E’ già qualche mattina che, nonostante il tempo novembrino che perseguita questo maggio, mi sveglio col sorriso.

Sono soddisfatta. Riesco anche a non riempirmi la giornata di impegni solo per tenermi occupata e stare bene.

Ieri mi è arrivata una foto della Puccia in tutto il suo splendore: occhi brillanti, sorriso a mille denti (ogni volta che le guardo i denti provo grande soddisfazione perché quelli ce li siamo conquistati uno ad uno e con grande fatica). Sembra tutto così normale.

E invece ora più che mai mi manca. Non nelle azioni quotidiane, nelle corse,nelle notti più o meno insonni e nei week end di pioggia interminabili. Mi manca tenerla stretta. Mi manca baciarla, guardarla, tenerla per mano.

La penso. Tanto. Spesso. E sorrido della dolcezza della mia malinconia.

Polpetta

Di Polpetta parlo poco. Lo so. Eppure un angolo del mio cuore e dei miei pensieri è sempre per lei. E’ stata la prima, la porta di ingresso di questo mondo meraviglioso e ricco chiamato accoglienza familiare.

Dopo un affido lungo e faticoso con parecchi colpi di scena, Polpetta è stata adottata. E la mia gioia per questa decisione del Tribunale è stata quasi incontenibile. Ne avevamo passate così tante nei mesi trascorsi insieme: mi immaginavo che avrei potuto vederla crescere, festeggiare insieme i suoi compleanni e continuare a far parte della sua vita e lei della nostra.

Le cose, come ho più volte detto, non vanno sempre come vorremmo. Già dopo il primo incontro dopo la conclusione dell’affido, le cose hanno preso una piega diversa, per me erroneamente, ingenuamente inaspettata. Dopo poco non ci siamo più incontrate.

Ogni tanto, se chiedo, ho qualche notizia. So che Polpetta sta crescendo bene e voglio immaginarmela serena nella sua nuova famiglia.

Sono stata, però, molto male. Mi sono interrogata per anni sul perché, su cosa potessi aver sbagliato. Alla fine mi sono perdonata: non credo di aver davvero sbagliato qualche cosa. Forse altre fragilità e non le mie hanno influenzato la scelta dei nuovi genitori.

Le famiglie affidatarie non hanno voce in capitolo, lo sappiamo fin dall’inizio. Per una persona come me, abituata nella vita privata e nel lavoro a prendere decisioni, è il compito più difficile: accettare senza discutere, senza appello.

Non ho pensato neanche per un secondo di smettere di accogliere ma mi sono fatta una promessa: rimanere con i piedi per terra e pur sognando la situazione migliore, prepararmi alla peggiore.

Ho fatto tanta strada da allora e sono più solida.

Ho imparato a consolarmi e a cercare il bello anche dove si fa fatica a vederlo.

Ora, anche io, sto bene.

ci vuole tempo

E’ tanto che non scrivo. Ci ho pensato. Ho pensato a scrivere ma poi mi sono accorta che non avevo le idee sufficientemente chiare. E’ dovuto passare del tempo, un bel viaggio fatto in famiglia. Ci sono state cene e pranzi con gli amici, annaffiare l’orto, pulire il terrazzo, trapiantare fiori…

Come in una di quelle sfere di vetro che se giri viene giù la neve. Serve tempo perché tutti quei pezzettini bianchi si ridepositino sul fondo e sembrino scomparsi.

Ho rivisto Paco. Credo che sia stato uno dei momenti più emozionanti della mia vita. E’ un bel bimbo, sempre biondissimo, sempre simpaticissimo. L’ultima volta che lo avevamo incontrato parlava appena e non mi dava il permesso di stargli troppo vicino pur chiamandomi ancora mamma. Per lui era troppo. Troppo stretto il mio abbraccio, troppo caldi i miei baci. Era stato un incontro intenso ma a distanza. Voleva che mi fosse chiaro che per lui non era facile. Che non potevamo far finta di niente.

Questa volta, dopo due anni dall’ultimo incontro, era emozionatissimo nel vederci e si è lasciato baciare. Gli ho chiesto il permesso e lui, abbassando gli occhi in un momento di timida emozione, ha detto subito di sì.

E poi abbiamo giocato. Tanto. Abbiamo dato le noci agli scoiattoli, il riso alle anatre e poi giocato ancora assecondando la sua fervida immaginazione e la sua fantasia.

Ha evitato accuratamente di chiamarci. Non per caso. E’ tutto ancora lì, non si è perso nulla di quello che c’è stato ma non siamo più mamma e papà. Diventeremo qualcosa di diverso che ancora, per lui, non ha un nome.

La neve però, anche per Paco, si sta lentamente depositando sul fondo della sfera e il paesaggio sta tornando ad essere nitido. Ci vuole tempo.