Lo scorso weekend è stato tosto. Il Re di Triglie ha ceduto, dopo onorevole battaglia, ai virus che campeggiano in casa nostra ormai da un mesetto e venerdì sera è arrivato dall’ufficio con la febbre.
La Puccia, a sua volta, era malata da martedì e quindi a casa dal nido con tutto quello che ne consegue.
Dico la verità: 5 giorni a casa full time con la piccola non sono proprio una passeggiata soprattutto se viene meno, per sopraggiunta influenza, il tuo prezioso alleato.
La Donzella in questo periodo è di poco aiuto, sospesa tra lo studio e la vita sociale che prevede una sequenza infinita di feste per i 18 anni di amici e compagni. Feste che impegnano ore in preparativi, trucco, vestiti, risate, dubbi, confronti telefonici, foto e quant’altro.
Bene. Mi perdo d’animo solo inizialmente, me lo concedo, ma poi mi rimbocco le maniche e punto alla sopravvivenza fino a lunedì.
Cibo in casa ce n’è, fuori piove quindi posso concentrarmi solo sulla Puccia.
Ed è in questo modo, quando meno te lo aspetti, che avviene qualcosa di magico.
Abbiamo avuto tanto tempo esclusivo, solo io e lei, che altrimenti, in circostanze normali, non ci sarebbe stato.
E ci siamo accudite a vicenda. Coccolate tantissimo. Abbracciate e baciate oltre i limiti della decenza. Abbiamo pisolato aggrovigliate sul divano, campeggiato sul tappeto mangiando pizza avanzata fuori orario, sbriciolando ovunque (ma poi abbiamo passato l’aspirapolvere eh!) e ci siamo dette, senza doverlo davvero dire, quanto grande sia l’amore che ci unisce e di quanta strada abbiamo fatto in questo anno insieme.
Poi è arrivata la domenica sera e il lunedì mattina e prima che la portassi al nido mi hai guardata dritta negli occhi e mi ha abbracciato stretta stretta.
E avrei voluto che non finisse mai perché quando mi tiene così, stretta stretta, io divento ogni volta una persona migliore.