Il giorno che Lei è arrivata non stavo più nella pelle. Non sapevo cosa aspettarmi, che viso avesse, quali segni portasse del suo vissuto. Me l’aspettavo minuta, piccolina e un po’ spaurita e invece Lei era la bimba più paffuta che io avessi mai abbracciato. Non era neanche spaurita. Ho potuto prenderla in braccio dopo solo pochi minuti e Lei non ha fatto neppure una smorfia. Ho capito solo dopo che questo non fosse un buon segno… A distanza di anni pensando a quel momento in cui io e Re di Triglie, mio marito, abbiamo portato a casa una nuova figlia, provo molta tenerezza nei nostri confronti.
In punta di piedi a spiare questo dono meraviglioso che l’affido ci aveva fatto, o che noi stessi ci eravamo fatti decidendo di entrare in questo mondo.
Trionfanti ed orgogliosi siamo andati a prendere Donzella, nostra figlia, a scuola con Lei nel passeggino. Donzella ai tempi faceva le elementari. Ci hanno fermato tutti quelli che conoscevamo e abbiamo scoperto, nel giro di un pomeriggio, cosa i genitori affidatari non vorrebbero mai sentirsi dire: “Ma come siete bravi. Io non potrei mai”. A me, ancora oggi, si smuove dentro una roba grande che se non è rabbia molto ci si avvicina.
Provo rabbia per tante ragioni diverse. Prima di tutto perché ho sempre detestato la definizione “bravo” o “brava”. Poi perché la maggior parte delle persone che ci circonda neanche si è mai posto la domanda se davvero non potrebbe o se ha solo paura di mettersi in gioco.
Perché in gioco ci si mette davvero, e quando un affido termina, non ci lascia mai esattamente uguali a quando è iniziato. A me piace come ogni esperienza ha trasformato la mia famiglia. Ho visto sempre una grande crescita e siamo arrivati a conoscerci veramente bene.
E allora quando sento la fatidica frase: “Ma che bravi che siete, io non potrei mai”, semplicemente rispondo: “peccato, non sai cosa ti perdi”.