tempo e spazio

Ci vuole tempo per un bambino in affido. Tanto tempo. Più di quanto avevamo messo in conto. Più di quanto avevamo immaginato.

Per ogni bambino ci vuole tempo ma per un bimbo in affido ancora di più.

Non è sufficiente riuscire a inserire nella nostra routine familiare i suoi impegni e il suo accudimento.

Ci vuole spazio. Tempo e spazio.

I bambini vanno pensati, sempre.

E allora si assottiglia il tempo libero, spariscono il cinema, le cene al ristorante, la lettura di un libro sul divano. A volte spariscono anche le docce lunghe più di 30 secondi, bere il caffè ancora caldo e alzarsi da tavola a cena terminata.

Ma si guadagna altro, tanto altro. E si scopre cosa si è davvero disposti a fare per un sorriso.

Vedremo

Quest’estate, dopo tanto tempo, ho sentito l’esigenza di stare un po’ con me. Sono anni che mi dedico totalmente, oltre che alla mia famiglia, a progetti di vita piuttosto impegnativi come l’affido.

Mi sembra passata una vita da quando la Puccia è andata via dalla nostra casa eppure sono passati solo 5 mesi. Solo 5 mesi.

Solo.

Me lo devo ripetere perché è anomalo per me non essere già proiettata mentalmente verso nuova disponibilità all’accoglienza.

Su come sta la Puccia sono costantemente informata e questo mi dona tranquillità. Perché è vero che sono pronta a vedere sparire questi bimbi dalla mia quotidianità, ma un conto è dover elemosinare qualche notizia ogni tanto, diverso invece vedere arrivare foto, racconti e telefonate quando meno te lo aspetti, quando non ci stavi neppure pensando.

Credo che anche questo abbia a che fare con il mio stato d’animo.

La mia famiglia a fisarmonica è abituata, mentre è in ferie, a fare lanci e voli di immaginazione sulle prossime vacanze, sui prossimi viaggi. Ed è buffo perché, da quando ci siamo aperti all’affido, passiamo un’estate da soli e una in compagnia di un bimbo. Fino ad ora è andata così.

E anche quest’anno ogni tanto Donzella se ne usciva dicendo: “L’anno prossimo, se non avremo bimbi, potremmo andare…”, altre volte era il Re di Triglie:” Magari l’anno prossimo, se non avremo bimbi, potremmo…”. Mi ha fatto sorridere, più volte, il “se non avremo bimbi”.

A tutte queste proposte ho soltanto saputo rispondere: “Vedremo”. Perché è così che mi sento adesso. In ascolto di quello che sarà.

Da un lato sono molto felice del fatto che la mia famiglia sia aperta a nuove possibili accoglienze, dall’altro molto serena e in pace nell’attesa che scatti quel qualcosa che mi farà dire: sono pronta.

E mi piace cullarmi in tutte queste opportunità che si presenteranno.

un regalo bellissimo

Ogni volta arrivo a fine affido completamente sazia. Come dopo un pranzo di quelli eterni, tipo matrimonio per intenderci. Che ti alzi da tavola e dici: non voglio mangiare più nulla per il resto della mia vita.

Ecco, la sensazione è quella. Poi ci sono gli anni che passano e la domanda che mi pongo è se avremo ancora la volontà di ripartire da capo ridando una nuova disponibilità.

So che non è il momento per chiederselo. Forse non ha neanche senso chiederselo perché la risposta arriverà da sola, basterà saperla ascoltare.

Segnali, anche se prematuri, ce ne sono.

L’altra sera Donzella se ne esce così: “Sai mamma, credo che avrei potuto essere una bravissima sorella maggiore se avessi avuto un fratellino o una sorellina.”. Confermo, ne sono certa. Ma poi continua: “Però così è anche meglio, ho avuto tanti fratellini e sorelline a cui fare da sorella maggiore. Lo voglio fare anche io da grande l’affido. Lo voglio fare per mio figlio o mia figlia perché è un regalo bellissimo”.

stretta stretta

Lo scorso weekend è stato tosto. Il Re di Triglie ha ceduto, dopo onorevole battaglia, ai virus che campeggiano in casa nostra ormai da un mesetto e venerdì sera  è arrivato dall’ufficio con la febbre.

La Puccia, a sua volta, era malata da martedì e quindi a casa dal nido con tutto quello che ne consegue.

Dico la verità: 5 giorni a casa full time con la piccola non sono proprio una passeggiata soprattutto se viene meno, per sopraggiunta influenza, il tuo prezioso alleato.

La Donzella in questo periodo è di poco aiuto, sospesa tra lo studio e la vita sociale che prevede una sequenza infinita di feste per i 18 anni di amici e compagni. Feste che impegnano ore in preparativi, trucco, vestiti, risate, dubbi, confronti telefonici, foto e quant’altro.

Bene. Mi perdo d’animo solo inizialmente, me lo concedo, ma poi mi rimbocco le maniche e punto alla sopravvivenza fino a lunedì.

Cibo in casa ce n’è, fuori piove quindi posso concentrarmi solo sulla Puccia.

Ed è in questo modo, quando meno te lo aspetti, che avviene qualcosa di magico.

Abbiamo avuto tanto tempo esclusivo, solo io e lei, che altrimenti, in circostanze normali, non ci sarebbe stato.

E ci siamo accudite a vicenda. Coccolate tantissimo. Abbracciate e baciate oltre i limiti della decenza. Abbiamo pisolato aggrovigliate sul divano, campeggiato sul tappeto mangiando pizza avanzata fuori orario, sbriciolando ovunque (ma poi abbiamo passato l’aspirapolvere eh!) e ci siamo dette, senza doverlo davvero dire, quanto grande sia l’amore che ci unisce e di quanta strada abbiamo fatto in questo anno insieme.

Poi è arrivata la domenica sera e il lunedì mattina e prima che la portassi al nido mi hai guardata dritta negli occhi e mi ha abbracciato stretta stretta.

E avrei voluto che non finisse mai perché quando mi tiene così, stretta stretta, io divento ogni volta una persona migliore.

ma ora che mi ci fai pensare…

La prima volta che mi hanno detto che la bimba che avevo a casa sarebbe entrata in comunità con la mamma naturale, mi è venuto un colpo. La mia mente si è immediatamente riempita di dubbi e preoccupazioni per il suo futuro, e mi è mancato letteralmente il respiro.

Ero molto titubante su come comunicare a Donzella, che a quei tempi era solo una bambina, questa notizia che mi metteva così in ansia. Per farle accettare la cosa di buon grado avrei dovuto cercare di restare per lo meno neutra e, se possibile, sembrare anche un filino entusiasta della scelta fatta dal giudice.

Ma non sempre ciò che mette in difficoltà noi adulti ha lo stesso effetto sui bambini, che hanno dalla loro una visione del mondo di una semplicità disarmante.

Così, quando il Re di Triglie ed io le abbiamo dato la notizia, Donzella ha spalancato i suoi occhioni blu come il mare e ha detto: “Come sono felice! Torna dalla sua mamma! A voi non sembra una notizia meravigliosa?”.

Eccome no? Diciamo che fino ad un minuto fa, a me, proprio no. Ma ora che mi ci fai pensare…

abbiamo novità

Aspettiamo per mesi di sentire questa frase, ma quando la ascoltiamo è sempre un fulmine a ciel sereno. Il turbine di emozioni che si impossessa della mia razionalità non smorza la sua intensità con l’esperienza. In effetti ogni bimbo è diverso, ogni storia è diversa e soprattutto, quello che siamo riusciti a costruire nei mesi trascorsi insieme, è diverso.

Quello che cambia con l’esperienza è la consapevolezza o forse la rassegnazione con cui si ascoltano le novità. Siamo giunti in cima alla salita e ora vediamo all’orizzonte il panorama. Non sempre è quello che ci saremmo immaginati e spesso c’è una fitta coltre di nebbia a coprire quello che avremmo voluto si aprisse limpido e soleggiato di fronte a noi.

Nell’affido non c’è semplicemente un bimbo che viene affidato a una famiglia, c’è tutta una famiglia che si affida a chi tiene le redini del progetto. Questo significa non avere nessuna voce in capitolo sulle decisioni che verranno prese.

Le novità ce le comunicano, come si suol dire, a giochi fatti.

E’ per questo che è importante non porsi troppe domande e lasciare che tutto scorra oltre. Oltre quello che siamo, oltre a quello che abbiamo vissuto.

Tutto quello che sarà, sarà il “dopo”. Il nostro “ora” non cambia di una sola virgola. Quello che possiamo scegliere, nell’affido, è che il tempo che vivremo insieme sia il migliore possibile. Che non resti nulla di non detto. Che l’amore fluisca e invada ogni spazio. Solo così potremo salutarci senza alcun rimpianto.

quando la tempesta non fa più paura

“Solo gli inquieti sanno com’è difficile sopravvivere alla tempesta e non poter vivere senza.”

Emily Bronte

L’altro giorno ho conosciuto una nuova coppia che si accinge ad accogliere per la prima volta un bambino. Mentre raccontavamo le nostre esperienze e rispondevamo alle loro domande, mi girava per la testa questa frase. Perché la domanda su cosa succede e come si sta quando questi bambini vanno via salta sempre fuori e nel rispondere, con il cuore in mano, si fa fatica a spiegare perché, dopo la sofferenza tanto inevitabile quanto necessaria, si torna a dare la disponibilità per un nuovo affido.

E’ perché dopo che si è conosciuta la tempesta, si è fatto fronte a ogni ostacolo e si è sopravvissuti, la tempesta non fa più così paura. La tempesta ci fa crescere, ci mette alla prova e ci rende migliori. E se si è inquieti, un po’ come lo sono io, non se ne può più fare a meno.

temporaneamente

Dopo quasi 11 mesi dall’arrivo della Puccia inizio a capirci qualche cosa. E dire che lei è una bimba davvero comunicativa che potrebbe sembrar facile da comprendere e gestire. Potrebbe.

Sono circa 6 mesi che il suo sonno notturno è peggiorato e che stiamo cercando di trovare il modo di farla riposare meglio.

Ora abbiamo il nostro letto al centro della stanza, un po’ alla Versailles, ma l’impressione non è altrettanto regale, anzi. Sembra più che ci sia una parete da imbiancare o qualche piccolo lavoro da fare e che lo spostamento sia solo temporaneo.

E certo, temporaneo come l’affido.

Il Re di Triglie ha deciso, dopo un paio di notti trascorse sul lago di Garda in cui la piccola ha dormito un po’ meglio, che sia indispensabile che il suo lettino stia di fianco al lettone, in modo che lei ci possa vedere quando si sveglia.

Che dobbiamo fare? Proviamo anche questa.

Il Re di Triglie sostiene, dopo tre notti,  che ci sia già un grosso miglioramento e siccome si alza lui prima dell’alba, ci crediamo tutti. L’importante è non arrendersi.

E così, dopo aver lasciato la camera più grande a Donzella che avrebbe potuto goderla di più anche durante il giorno (ma quando mai? ha campeggiato tra cucina e salotto fino a 1 anno fa), adesso abbiamo anche il letto, temporaneamente, in mezzo alla stanza. Cosa non si fa per le figlie.

il controsenso di amare la salita

Le cose con la Puccia stanno andando molto bene. Lei è una bimba molto affettuosa, simpatica e i legami che abbiamo stabilito tra di noi sono solidi. Ci dà dimostrazioni continue della fiducia totale che ha riposto in noi. Certo, le notti sono sempre roccambolesche e il Re di Triglie non perde occasione per sottolinearne la fatica. Che non occorrerebbe neanche, mi basta guardarmi allo specchio per vedere le occhiaie e quel bel colorito grigio che contraddistinguono questo periodo. Ma la mattina è sempre un nuovo giorno, è sufficiente che non mi guardi allo specchio ma che concentri la mia attenzione sul visino paffuto e roseo della Puccia. Lei sì che è uno spettacolo alla mattina. Fatto il pieno di attenzioni e coccole che per lei deve essere tassativamente h24, è allegra sorridente e spesso canterina. Abbiamo tutto il nostro rituale mattutino che prevede il suo religioso silenzio e la sua quasi immobilità mentre attende che io abbia finito il mio caffè e poi tutto può procedere a ritmo serrato: colazione, lavare e vestire lei, lavare e vestire me, rassettare il minimo indispensabile casa per cancellare le tracce della notte trascorsa tra divano, poltrona e cucina: i biberon per terra, le coperte appallottolate e 3 o 4 cuscini sparsi. Poi scarpe e giacca e si esce: dal lunedì al venerdì è tutta una salita.

Ma i miei amici sportivi sia ciclisti che triatleti, tutti, nessuno escluso, sostengono di amare più di tutto la salita. Io ho sempre chiesto incredula il perché (io non è che la ami così tanto, anzi) e loro sempre risposto che la salita è la parte più bella perché ti mette alla prova, ti regala la soddisfazione della vetta e soprattutto a un certo punto finisce e poi c’è la discesa.

Ecco, se penso alla vetta e alla discesa che concluderanno anche questo affido il mio stomaco inizia a fare qualche capriola e mi tocca ammettere che in effetti, anche io, ho iniziato ad amare la salita.

di mamme, non ce n’è mica una sola!

La settimana scorsa è stata tutta una corsa. Partenza in salita con la Puccia febbricitante e tutto il lavoro da riorganizzare di conseguenza. Per fortuna la mia vita è sufficientemente elastica, quindi riesco a non dare di matto ad ogni imprevisto. Poi però un regalo inaspettato: un’altra mamma affidataria, che in questo momento vive una pausa post conclusione affido, si è offerta di venire a darmi una mano. Meraviglia.

Altro dono di questa esperienza? Le persone, i colleghi di affido. Siamo un bel gruppo, tutti molto diversi tra di noi ma accomunati da questa esperienza che prende la tua vita, la tua anima e il tuo cuore tra le mani e li rimescola, strizza, arriccia e modella come meglio crede. La co-educazione in questi progetti è un concetto imprescindibile. In primo luogo perché abbiamo in famiglia un bimbo non nostro che ha una mamma e un papà biologici che vede, più o meno periodicamente, nei cosiddetti “incontri protetti”. Spesso poi ci sono anche altri parenti coinvolti nel progetto ed allora ci saranno incontri protetti anche con loro. Agli incontri protetti sono presenti gli educatori che, nel nostro caso, hanno un rapporto quotidiano con i bimbi e con noi. E se ancora non bastasse c’è la psicologa, ci sono nonni, zii, amici e ognuno contribuisce, a suo modo, all’educazione, in questo caso, della Puccia. Una costellazione di figure più o meno importanti che con la loro presenza, i loro consigli e i loro interventi, partecipano attivamente all’educazione del pupo. Che di mamme, non ce n’è mica una sola!

Nell’affido tutto questo, come dicevo, fa parte del gioco. E questi bambini, nella loro sfortuna, hanno la grande opportunità di avere intorno tante persone  diverse che si preoccupano e occupano di loro. Non so se con Donzella avrei tollerato così tanti co-educatori o avrei vissuto tutto questo come un’intromissione. Non sono mai stata una mamma facciotuttoio ma, essendomi trasferita in una nuova città e non avendo nessuno che frequentasse la mia casa con assiduità… ho dovuto faretuttoio lo stesso, anche se non per scelta. E infatti a suo tempo ho un po’ sbroccato, e quando Donzella ha avuto 15 mesi io e Re di Triglie abbiamo fatto cambio: io al lavoro e lui a casa. Ma questa è un’altra storia.