Credo che crescere per un periodo un figlio non nostro sia un grande privilegio. Credo che sia, inoltre, di grande insegnamento. A me ha insegnato il rispetto per Donzella. Avevo sempre dato istintivamente per scontato che solo per il fatto che fosse mia figlia, dovesse darmi ascolto, seguire le mie indicazioni e assecondare le mie inclinazioni. Soprattutto quando era piccola: è mia figlia, io so. E invece non sapevo proprio niente. Quando è arrivata la Polpetta aveva solo 8 mesi ma già io la percepivo e rispettavo come un individuo, come una persona che avrei dovuto conoscere, a cui avrei dovuto imparare ad approcciarmi affinché potessi esserle utile. Avremmo dovuto imparare a relazionarci: io come mamma e lei come figlia. Questo muovere un passo alla volta, mettersi tanto in discussione ed osservare la reazione che ogni mia azione scatenava… con Donzella non lo avevo mai fatto. Non l’avevo mai osservata per ore per vedere cosa facesse e come reagisse a certi stimoli. Non avevo, ad esempio, mai apprezzato la sua calma, la sua lentezza nell’avvicinarsi alle cose. Una lentezza tutt’altro che improduttiva. Uno spazio tutto suo in cui si perde, ancora oggi, in sogni e pensieri. Io, una mamma super veloce e super efficiente, lei una figlia piena di pause e riflessioni. Penso di aver fatto anche dei danni, in passato. Mi consola che i bambini siano sempre molto indulgenti con noi adulti e ci accettino per quello che siamo. Almeno Donzella, con me, lo ha sempre fatto. Credo che da Polpetta in poi io sia diventata una mamma migliore. Adesso so quanto è necessario essere caute quando si è madri. Perché molto, ma molto più importante di quello che facciamo è il tempo in cui stiamo ferme ad ascoltare e a osservare.