il sole che verrà

Ho riaperto le pagine di questo blog dopo davvero tanto tempo. Ultimo articolo: dicembre 2019. Un secolo fa. Mi ero ripromessa di rallentare, di godermi le vacanze di Natale, di provare a rispettare tutto quello che il mio corpo e la mia mente mi suggerivano dopo l’ennesimo scatto in avanti dovuto all’iscrizione all’università, alle lezioni da seguire, al lavoro da portare avanti, agli esami da preparare, all’ansia da esame di maturità della Donzella da arginare…

Mai, e dico mai, avrei previsto quello che stava per succedere e fin qui…chi lo aveva poi davvero previsto?

Sono stata travolta da un’improvvisa lentezza forzata: tutti chiusi in casa. TUTTI CHIUSI IN CASA. Tutti.

Inizialmente queste strane giornate avevano il sapore delle ferie: far colazione insieme, decidere cosa preparare per il pranzo, stare sul terrazzo più tempo possibile, la cura del sole, la vitamina D. Abbiamo anche girato più volte i mobili di casa, per creare nuove visuali, nuovi possibili orizzonti.

Ma io non sono fatta così. Bella la lentezza, bello ascoltarsi, bello assaporare le ore che passano. Ma diventa troppo il tempo in cui pensare, riflettere accorgendosi di quegli angolini in cui si sono nascoste per anni ansie e timori primordiali: la salute, la vita, il timore della morte e del dolore.

“Fino a qui tutto bene”. Me lo ripeto tutti i giorni come il tizio che cadeva dall’ottantesimo piano. Il tenere i nervi saldi, rincuorare e dare forza alle persone che amo che appoggiano le loro ansie su di me perchè le sciolga un po’ con l’affetto e un po’ con la microbiologia e la fisiologia mi prosciuga. Quanta fatica in questo anno.

Ho pensato più volte all’affido. In questo momento avrei molto tempo da dedicare a un bimbo, ma il tempo non basta. Certo è meglio che niente, ma per dare bisogna stare bene. E io non sto bene. Non sento di avere quell’energia che servirebbe, non ancora.

Mi sono anche ritrovata a pensare che forse ero giunta al traguardo. Che di bimbi ne avevo già accolti a sufficienza. Ma so che non è così. So che ripartirò per un’altra avventura. Ma non è ancora tempo di lasciare il porto verso il mare aperto. Servono altri lavori di manutenzione.

E allora cerco di usare al meglio questo tempo che ho a disposizione per continuare a studiare, a riflettere su quello che sono diventata in tutti questi mesi in cui ho avuto in affidamento una persona speciale di cui non mi occupavo da tempo: me stessa.

…ma tu, come stai?

I giorni stanno scorrendo veloci, troppo veloci e siamo già arrivati all’ultimo martedì, l’ultimo mercoledì e così via.

Lo so, ci sono già passata altre volte, ma ogni volta è diverso e non si fa il callo alle separazioni.

La parte razionale di me è contenta. I rientri in famiglia portano con sé grandi doni: la possibilità di ricucire una storia interrotta e di dare continuità e dignità a tutto quello che è stato e che sarà.

Ma tu come stai? Te lo chiedo in realtà ogni sera, quando abbracciate ci regaliamo istanti preziosi di noi. Lo so che ti passano tante cose per la testa e che ti senti travolta dai giorni che, inesorabilmente, ti portano ad essere sempre più là e sempre meno qua.

Ma sei una bimba fortunata, sei circondata da persone che ti vogliono bene e, non te lo dimenticare mai, non è poi così scontato.

I giorni sono faticosi, lo so e capisco quando di notte fai fatica a dormire. Forse anche tu, come me, pensi.

Eppure ogni mattina ci alziamo piene di buone intenzioni e andiamo incontro alla giornata con entusiasmo.

Ma tu come stai? Perché io non so bene come sto. Ho un nodo in gola pronto a sciogliersi ma che si trattiene. Sono piena di soddisfazione per tutto quello che abbiamo fatto, per quanto siamo cresciute, io e te, e per come, ancora una volta, posso accompagnarti per mano verso la tua vita che sarà piena, gioiosa e ricca. Ma sono anche triste e malinconica come quando finisce una storia d’amore, anche se questo amore non finirà per davvero. Sono giorni duri in cui tutto viaggia a una velocità quasi insostenibile, soprattutto i pensieri e le emozioni. E io non riesco a starci dietro. E ho un pensiero costante e fisso: “Ma tu, come stai?”.

Ti penso ma non ti cerco

La Puccia sta andando via e i giorni mi scivolano via velocissimi. Tutti i miei bimbi, ognuno nella sua nuova vita, mi rimbalzano dentro all’impazzata.

Poi trovo questa e sento una fitta all’anima. Non saprei aggiungere altro.

Non ho smesso di pensarti.

Non ho smesso di pensarti,
vorrei tanto dirtelo.
Vorrei scriverti che mi piacerebbe tornare,
che mi manchi
e che ti penso.
Ma non ti cerco.
Non ti scrivo neppure ciao.
Non so come stai.
E mi manca saperlo.
Hai progetti?
Hai sorriso oggi?
Cos’hai sognato?
Esci?
Dove vai?
Hai dei sogni?
Hai mangiato?
Mi piacerebbe riuscire a cercarti.
Ma non ne ho la forza.
E neanche tu ne hai.
Ed allora restiamo ad aspettarci invano.
E pensiamoci.
E ricordami.
E ricordati che ti penso,
che non lo sai ma ti vivo ogni giorno,
che scrivo di te.
E ricordati che cercare e pensare son due cose diverse.
Ed io ti penso
ma non ti cerco.

– Charles Bukowski

venite a pranzo da noi?

Ieri mi sono sentita immensamente grata. Non uso spesso questo aggettivo perché la gratitudine non rientra abitualmente, mea culpa, nella mia frenetica quotidianità.

Ma ieri l’ho proprio sentita bene questa gratitudine.

Siamo stati invitati a pranzo da amici, colleghi di affido. Uno di quegli inviti che non giungono per caso. Sapevano del nostro momento di fatica sia fisica che emotiva e ci hanno regalato qualche ora di leggerezza.

Perché il pranzo è ovviamente solo un pretesto per passare del tempo insieme, parlare, distrarsi, ridere delle occhiaie, delle rughe nuove e per fare progetti per il dopo. Non sappiamo ancora quando inizierà il dopo ma è lì, lo si può iniziare ad annusare.

E quelle ore seduta, in cui altri hanno rincorso e accudito Puccia al posto mio, hanno avuto l’effetto di un giorno in beauty farm.

E mi sono sentita amata. Mi sono sentita capita. E profondamente grata.

questo… non mi mancherà

Ogni volta che ci viene comunicato che l’affido sta per finire io, il Re di Triglie e Donzella iniziamo il gioco del: “questo non mi mancherà”.

La prima volta abbiamo iniziato spontaneamente all’improvviso, adesso invece si dichiara ufficialmente giorno e ora di partenza.

Che quando un bimbo sta per lasciare la tua casa e la tua quotidianità dopo mesi o anni di ingombrantissima presenza tutto quello che all’improvviso non avrai più e ti mancherà da morire, lo hai presente benissimo.

Allora trovo molto sano, anche per sdrammatizzare un po’ il periodo denso di emozioni e sofferenza, sottolineare quello che non ci mancherà.

Caricare e scaricare il passeggino dalla macchina 4 o 5 volte al giorno, magari sotto il diluvio universale… non mi mancherà.

Cambiare una puzzolentissima cacca dopo aver appena infilato in bocca la prima forchettata delle tanto agognate lasagne… non mi mancherà.

La Puccia che si sveglia appena hai aperto i libro che sono giorni che cerchi il tempo di iniziare… non mi mancherà.

Raccogliere ogni giorno da terra millemila stelline fossili che si accumulano negli angoli più assurdi dopo ogni pasto… non mi mancherà.

Ogni secondo, dopo che ci saremo salutate, ci saranno tante cose di lei e di noi che mi mancheranno, perché senza di lei le giornate mi sembreranno, inizialmente, vuote e prive di senso come se tutto, ma proprio tutto, con lei fosse stato perfetto e meraviglioso.

Sarà allora che dovrò richiamare alla mente questo gioco, perché riappropriarsi di spazi e tempi quando un affido finisce, in realtà, è tanto bello quanto lo è stato perderli quando è iniziato.