E non ho più parlato

Sono tornata a yoga settimana scorsa. Dopo più di un mese d’assenza dovuto al periodo di passaggio della Puccia. Mi hanno chiesto dove fossi finita e davano per scontato che fossi via per lavoro. In effetti avevo avvisato solo la maestra del reale motivo della mia assenza.

Non so come mai, ma se in alcuni ambienti parlo di affido come fossi una promotrice esperta in marketing, negli ambienti miei, quelli più intimi, se posso, taccio.

Ma lunedì scorso ho parlato. Perché la gioia della conclusione di questa esperienza non mi permetteva di tacere. E mi hanno fatto tante domande e mi hanno pure chiesto se non mi era mai venuta voglia di adottare un altro figlio. Alcune domande me le aspetto, altre meno ma ci sta tutto purché se ne parli. Parliamo di affido, parlarne fa bene e permette di diffondere uno stile di vita che fa dell’accoglienza e della disponibilità un punto di forza.

Ieri sera una delle mie colleghe di sudore mi ha guardato dritto negli occhi e mi ha detto che avrebbe voluto scrivermi un messaggio. Poi mi ha spiegato:”Volevo scriverti perché c’è una bella differenza tra dire che si vorrebbe cambiare il mondo e farlo per davvero. E quello che fai tu, cambia il mondo”.

Questo nessuno me lo aveva mai detto. Mi ha fatto venire la pelle d’oca. E non ho più parlato.

Ti penso ma non ti cerco

La Puccia sta andando via e i giorni mi scivolano via velocissimi. Tutti i miei bimbi, ognuno nella sua nuova vita, mi rimbalzano dentro all’impazzata.

Poi trovo questa e sento una fitta all’anima. Non saprei aggiungere altro.

Non ho smesso di pensarti.

Non ho smesso di pensarti,
vorrei tanto dirtelo.
Vorrei scriverti che mi piacerebbe tornare,
che mi manchi
e che ti penso.
Ma non ti cerco.
Non ti scrivo neppure ciao.
Non so come stai.
E mi manca saperlo.
Hai progetti?
Hai sorriso oggi?
Cos’hai sognato?
Esci?
Dove vai?
Hai dei sogni?
Hai mangiato?
Mi piacerebbe riuscire a cercarti.
Ma non ne ho la forza.
E neanche tu ne hai.
Ed allora restiamo ad aspettarci invano.
E pensiamoci.
E ricordami.
E ricordati che ti penso,
che non lo sai ma ti vivo ogni giorno,
che scrivo di te.
E ricordati che cercare e pensare son due cose diverse.
Ed io ti penso
ma non ti cerco.

– Charles Bukowski

surrealismo a colazione

Lunedì mattina. Non un lunedì a caso ma proprio quello dopo la prima settimana di abbinamento della Puccia con la nuova famiglia. Per chi non ha mai fatto un affido questo non avrà nessun significato particolare ma per chi ci è già passato… la musica cambia.

L’abbinamento è una fase che dura tre o quattro settimane in cui il bimbo, con molta gradualità, inizia a frequentare la nuova famiglia e passa sempre un po’ più di tempo con loro e meno con la famiglia affidataria o all’asilo. Si conclude tutto la mattina del passaggio definitivo che sancisce la fine della permanenza presso la casa degli affidatari e la prima notte in cui il bimbo dormirà nella nuova casa. E vissero tutti felici e contenti.

Bene. La prima settimana di abbinamento è tutto un vortice di emozioni, tensioni, nervosismo soprattutto da parte dei bimbi che percepiscono che le cose stanno cambiando ma non capiscono cosa sta succedendo.

La Puccia è ancora piccola e già non dorme di suo, figuriamoci ora. Si sveglia circa ogni ora, non sempre si riaddormenta in poco tempo e spesso piange.

Stamattina, dopo una notte che mi fa pensare di dover assolutamente erigere una statua al merito al povero Re di Triglie, faccio colazione con le mie, ancora per una quindicina di giorni, due figlie.

Puccia canta a squarciagola e ogni tanto ci guarda e ride (beati bimbi, sembra che abbia dormito tutto lei!), Donzella spalma fette di pane con cioccolato, io bevo il caffè.

Donzella mi chiede da quando la piccola è diventata così meravigliosamente allegra (di giorno, aggiungo io che sono pignola). Le faccio notare che sul muro, dove sono appese le foto dei nostri bimbi, ieri, è comparsa la Puccia.

Donzella guarda e conta: “Polpetta, Pigolo, Piculitza, Paco, io e Puccia!”.

“Bella!! -esclama- Però vedi mamma, la foto di Paco finisce un po’ sulla lavagna a forma di pesce. Dobbiamo creare spazio per le prossime foto”. GULP.

“Ma perché, vorresti fare un altro affido?”. “Mamma, ogni volta diciamo che sarà l’ultimo ma poi, guarda: è arrivata la Puccia che è così… stupenda!!!! Chissà chi potrebbe arrivare dopo!”.

Omioddio.

stretta stretta

Lo scorso weekend è stato tosto. Il Re di Triglie ha ceduto, dopo onorevole battaglia, ai virus che campeggiano in casa nostra ormai da un mesetto e venerdì sera  è arrivato dall’ufficio con la febbre.

La Puccia, a sua volta, era malata da martedì e quindi a casa dal nido con tutto quello che ne consegue.

Dico la verità: 5 giorni a casa full time con la piccola non sono proprio una passeggiata soprattutto se viene meno, per sopraggiunta influenza, il tuo prezioso alleato.

La Donzella in questo periodo è di poco aiuto, sospesa tra lo studio e la vita sociale che prevede una sequenza infinita di feste per i 18 anni di amici e compagni. Feste che impegnano ore in preparativi, trucco, vestiti, risate, dubbi, confronti telefonici, foto e quant’altro.

Bene. Mi perdo d’animo solo inizialmente, me lo concedo, ma poi mi rimbocco le maniche e punto alla sopravvivenza fino a lunedì.

Cibo in casa ce n’è, fuori piove quindi posso concentrarmi solo sulla Puccia.

Ed è in questo modo, quando meno te lo aspetti, che avviene qualcosa di magico.

Abbiamo avuto tanto tempo esclusivo, solo io e lei, che altrimenti, in circostanze normali, non ci sarebbe stato.

E ci siamo accudite a vicenda. Coccolate tantissimo. Abbracciate e baciate oltre i limiti della decenza. Abbiamo pisolato aggrovigliate sul divano, campeggiato sul tappeto mangiando pizza avanzata fuori orario, sbriciolando ovunque (ma poi abbiamo passato l’aspirapolvere eh!) e ci siamo dette, senza doverlo davvero dire, quanto grande sia l’amore che ci unisce e di quanta strada abbiamo fatto in questo anno insieme.

Poi è arrivata la domenica sera e il lunedì mattina e prima che la portassi al nido mi hai guardata dritta negli occhi e mi ha abbracciato stretta stretta.

E avrei voluto che non finisse mai perché quando mi tiene così, stretta stretta, io divento ogni volta una persona migliore.

ma ora che mi ci fai pensare…

La prima volta che mi hanno detto che la bimba che avevo a casa sarebbe entrata in comunità con la mamma naturale, mi è venuto un colpo. La mia mente si è immediatamente riempita di dubbi e preoccupazioni per il suo futuro, e mi è mancato letteralmente il respiro.

Ero molto titubante su come comunicare a Donzella, che a quei tempi era solo una bambina, questa notizia che mi metteva così in ansia. Per farle accettare la cosa di buon grado avrei dovuto cercare di restare per lo meno neutra e, se possibile, sembrare anche un filino entusiasta della scelta fatta dal giudice.

Ma non sempre ciò che mette in difficoltà noi adulti ha lo stesso effetto sui bambini, che hanno dalla loro una visione del mondo di una semplicità disarmante.

Così, quando il Re di Triglie ed io le abbiamo dato la notizia, Donzella ha spalancato i suoi occhioni blu come il mare e ha detto: “Come sono felice! Torna dalla sua mamma! A voi non sembra una notizia meravigliosa?”.

Eccome no? Diciamo che fino ad un minuto fa, a me, proprio no. Ma ora che mi ci fai pensare…

venite a pranzo da noi?

Ieri mi sono sentita immensamente grata. Non uso spesso questo aggettivo perché la gratitudine non rientra abitualmente, mea culpa, nella mia frenetica quotidianità.

Ma ieri l’ho proprio sentita bene questa gratitudine.

Siamo stati invitati a pranzo da amici, colleghi di affido. Uno di quegli inviti che non giungono per caso. Sapevano del nostro momento di fatica sia fisica che emotiva e ci hanno regalato qualche ora di leggerezza.

Perché il pranzo è ovviamente solo un pretesto per passare del tempo insieme, parlare, distrarsi, ridere delle occhiaie, delle rughe nuove e per fare progetti per il dopo. Non sappiamo ancora quando inizierà il dopo ma è lì, lo si può iniziare ad annusare.

E quelle ore seduta, in cui altri hanno rincorso e accudito Puccia al posto mio, hanno avuto l’effetto di un giorno in beauty farm.

E mi sono sentita amata. Mi sono sentita capita. E profondamente grata.

abbiamo novità

Aspettiamo per mesi di sentire questa frase, ma quando la ascoltiamo è sempre un fulmine a ciel sereno. Il turbine di emozioni che si impossessa della mia razionalità non smorza la sua intensità con l’esperienza. In effetti ogni bimbo è diverso, ogni storia è diversa e soprattutto, quello che siamo riusciti a costruire nei mesi trascorsi insieme, è diverso.

Quello che cambia con l’esperienza è la consapevolezza o forse la rassegnazione con cui si ascoltano le novità. Siamo giunti in cima alla salita e ora vediamo all’orizzonte il panorama. Non sempre è quello che ci saremmo immaginati e spesso c’è una fitta coltre di nebbia a coprire quello che avremmo voluto si aprisse limpido e soleggiato di fronte a noi.

Nell’affido non c’è semplicemente un bimbo che viene affidato a una famiglia, c’è tutta una famiglia che si affida a chi tiene le redini del progetto. Questo significa non avere nessuna voce in capitolo sulle decisioni che verranno prese.

Le novità ce le comunicano, come si suol dire, a giochi fatti.

E’ per questo che è importante non porsi troppe domande e lasciare che tutto scorra oltre. Oltre quello che siamo, oltre a quello che abbiamo vissuto.

Tutto quello che sarà, sarà il “dopo”. Il nostro “ora” non cambia di una sola virgola. Quello che possiamo scegliere, nell’affido, è che il tempo che vivremo insieme sia il migliore possibile. Che non resti nulla di non detto. Che l’amore fluisca e invada ogni spazio. Solo così potremo salutarci senza alcun rimpianto.

quando la tempesta non fa più paura

“Solo gli inquieti sanno com’è difficile sopravvivere alla tempesta e non poter vivere senza.”

Emily Bronte

L’altro giorno ho conosciuto una nuova coppia che si accinge ad accogliere per la prima volta un bambino. Mentre raccontavamo le nostre esperienze e rispondevamo alle loro domande, mi girava per la testa questa frase. Perché la domanda su cosa succede e come si sta quando questi bambini vanno via salta sempre fuori e nel rispondere, con il cuore in mano, si fa fatica a spiegare perché, dopo la sofferenza tanto inevitabile quanto necessaria, si torna a dare la disponibilità per un nuovo affido.

E’ perché dopo che si è conosciuta la tempesta, si è fatto fronte a ogni ostacolo e si è sopravvissuti, la tempesta non fa più così paura. La tempesta ci fa crescere, ci mette alla prova e ci rende migliori. E se si è inquieti, un po’ come lo sono io, non se ne può più fare a meno.

temporaneamente

Dopo quasi 11 mesi dall’arrivo della Puccia inizio a capirci qualche cosa. E dire che lei è una bimba davvero comunicativa che potrebbe sembrar facile da comprendere e gestire. Potrebbe.

Sono circa 6 mesi che il suo sonno notturno è peggiorato e che stiamo cercando di trovare il modo di farla riposare meglio.

Ora abbiamo il nostro letto al centro della stanza, un po’ alla Versailles, ma l’impressione non è altrettanto regale, anzi. Sembra più che ci sia una parete da imbiancare o qualche piccolo lavoro da fare e che lo spostamento sia solo temporaneo.

E certo, temporaneo come l’affido.

Il Re di Triglie ha deciso, dopo un paio di notti trascorse sul lago di Garda in cui la piccola ha dormito un po’ meglio, che sia indispensabile che il suo lettino stia di fianco al lettone, in modo che lei ci possa vedere quando si sveglia.

Che dobbiamo fare? Proviamo anche questa.

Il Re di Triglie sostiene, dopo tre notti,  che ci sia già un grosso miglioramento e siccome si alza lui prima dell’alba, ci crediamo tutti. L’importante è non arrendersi.

E così, dopo aver lasciato la camera più grande a Donzella che avrebbe potuto goderla di più anche durante il giorno (ma quando mai? ha campeggiato tra cucina e salotto fino a 1 anno fa), adesso abbiamo anche il letto, temporaneamente, in mezzo alla stanza. Cosa non si fa per le figlie.

il controsenso di amare la salita

Le cose con la Puccia stanno andando molto bene. Lei è una bimba molto affettuosa, simpatica e i legami che abbiamo stabilito tra di noi sono solidi. Ci dà dimostrazioni continue della fiducia totale che ha riposto in noi. Certo, le notti sono sempre roccambolesche e il Re di Triglie non perde occasione per sottolinearne la fatica. Che non occorrerebbe neanche, mi basta guardarmi allo specchio per vedere le occhiaie e quel bel colorito grigio che contraddistinguono questo periodo. Ma la mattina è sempre un nuovo giorno, è sufficiente che non mi guardi allo specchio ma che concentri la mia attenzione sul visino paffuto e roseo della Puccia. Lei sì che è uno spettacolo alla mattina. Fatto il pieno di attenzioni e coccole che per lei deve essere tassativamente h24, è allegra sorridente e spesso canterina. Abbiamo tutto il nostro rituale mattutino che prevede il suo religioso silenzio e la sua quasi immobilità mentre attende che io abbia finito il mio caffè e poi tutto può procedere a ritmo serrato: colazione, lavare e vestire lei, lavare e vestire me, rassettare il minimo indispensabile casa per cancellare le tracce della notte trascorsa tra divano, poltrona e cucina: i biberon per terra, le coperte appallottolate e 3 o 4 cuscini sparsi. Poi scarpe e giacca e si esce: dal lunedì al venerdì è tutta una salita.

Ma i miei amici sportivi sia ciclisti che triatleti, tutti, nessuno escluso, sostengono di amare più di tutto la salita. Io ho sempre chiesto incredula il perché (io non è che la ami così tanto, anzi) e loro sempre risposto che la salita è la parte più bella perché ti mette alla prova, ti regala la soddisfazione della vetta e soprattutto a un certo punto finisce e poi c’è la discesa.

Ecco, se penso alla vetta e alla discesa che concluderanno anche questo affido il mio stomaco inizia a fare qualche capriola e mi tocca ammettere che in effetti, anche io, ho iniziato ad amare la salita.