surrealismo a colazione

Lunedì mattina. Non un lunedì a caso ma proprio quello dopo la prima settimana di abbinamento della Puccia con la nuova famiglia. Per chi non ha mai fatto un affido questo non avrà nessun significato particolare ma per chi ci è già passato… la musica cambia.

L’abbinamento è una fase che dura tre o quattro settimane in cui il bimbo, con molta gradualità, inizia a frequentare la nuova famiglia e passa sempre un po’ più di tempo con loro e meno con la famiglia affidataria o all’asilo. Si conclude tutto la mattina del passaggio definitivo che sancisce la fine della permanenza presso la casa degli affidatari e la prima notte in cui il bimbo dormirà nella nuova casa. E vissero tutti felici e contenti.

Bene. La prima settimana di abbinamento è tutto un vortice di emozioni, tensioni, nervosismo soprattutto da parte dei bimbi che percepiscono che le cose stanno cambiando ma non capiscono cosa sta succedendo.

La Puccia è ancora piccola e già non dorme di suo, figuriamoci ora. Si sveglia circa ogni ora, non sempre si riaddormenta in poco tempo e spesso piange.

Stamattina, dopo una notte che mi fa pensare di dover assolutamente erigere una statua al merito al povero Re di Triglie, faccio colazione con le mie, ancora per una quindicina di giorni, due figlie.

Puccia canta a squarciagola e ogni tanto ci guarda e ride (beati bimbi, sembra che abbia dormito tutto lei!), Donzella spalma fette di pane con cioccolato, io bevo il caffè.

Donzella mi chiede da quando la piccola è diventata così meravigliosamente allegra (di giorno, aggiungo io che sono pignola). Le faccio notare che sul muro, dove sono appese le foto dei nostri bimbi, ieri, è comparsa la Puccia.

Donzella guarda e conta: “Polpetta, Pigolo, Piculitza, Paco, io e Puccia!”.

“Bella!! -esclama- Però vedi mamma, la foto di Paco finisce un po’ sulla lavagna a forma di pesce. Dobbiamo creare spazio per le prossime foto”. GULP.

“Ma perché, vorresti fare un altro affido?”. “Mamma, ogni volta diciamo che sarà l’ultimo ma poi, guarda: è arrivata la Puccia che è così… stupenda!!!! Chissà chi potrebbe arrivare dopo!”.

Omioddio.

quello squarcio dentro

Tutti pensano che quando un affido finisce, ti si possa spezzare il cuore. Certo, quando questi bambini escono dalla tua casa, si perde completamente la gioia della quotidianità e all’inizio il dolore è molto grande. Ma mi piace definirlo un dolore bello, forse paragonabile a quando tuo figlio va a vivere da solo, o si sposa. Quando la porta di casa si chiude, dopo un piccolo panico iniziale (e adesso?? che faccio??) la soddisfazione è molto grande. Donzella vive ancora con noi anche se sfoglia riviste immobiliari per quando inizierà l’università, momento che lei fa coincidere con l’inizio della sua indipendenza abitativa. Non so se davvero sarà allora che andrà via, ma glielo auguro di cuore. E sarà per me fonte di grande soddisfazione. Crescere un figlio che sia in grado di chiudere serenamente quella porta, non è facile. Soprattutto in tempi in cui vedo genitori che spingono passeggini con sopra figli davvero troppo grandi. Che lasciarli crescere sarebbe il nostro dovere più grande. Vero è che i bimbi che ho avuto in affido sono sempre andati via piccoli, che la scelta non è stata la loro né per l’arrivo né per la partenza. Ma che importa? Averli accompagnati a quel saluto in modo da vederli andare via sereni… vale tutto il dolore del mondo. Poi la fatica c’è, ed è sempre tanta sia per noi, che per il bambino, che per i suoi genitori, siano essi naturali o adottivi. Ma le belle esperienze lasciano solo del buono, anche nel dolore e nella fatica.  Uno dei temi più dibattuti negli incontri a cui partecipo è se sarebbe possibile evitare ai bambini questo passaggio e questo dolore. E ogni volta fra me e me penso: “Sì certo, basterebbe eliminare l’affidamento familiare”. Ho letto da qualche parte, a tal proposito, che si può trapiantare con successo solo una piantina che abbia messo radici. E’ vero all’inizio farà un po’ fatica, ma poi crescerà grande e rigogliosa. Questo è il nostro compito. Far sì che questi bimbi-piantina mettano radici e le mettano forti, in grado di mantenerli belli saldi anche durante le tempeste della vita. E’ vederle arrivare queste piantine, così fragili e con piccole radichette che non sanno in che terreno affondare né da dove trarre nutrimento, che mi crea dolore. E quello squarcio che senti dentro quando posano i loro occhi nei tuoi per la prima volta, non si può dimenticare.